COME UN SASSO NELLO STAGNO ! SPECIALE ERUZIONI VULCANICHE
Avete mai provato a lanciare il sasso in uno stagno? Si riesce ad ottenere un numero identico di cerchi con delle onde concentriche aventi le stesse dimensioni che si propagano alla stessa velocità, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse e con diversi effetti l’intero stagno.
Quello che è accaduto il 13 gennaio scorso, 65 Km. a nord della capitale di Tonga al vulcano sottomarino chiamato Hunga-Tonga-Hunga-Ha’apai è stato spaventoso.
Sfatiamo il mito dell’imprevedibilità, perché nell’ultimo decennio diverse sono state le eruzioni verificatesi con getti caldi di magma e vapore acqueo tra le onde dell’oceano, certamente poca cosa rispetto a quanto avvenuto qualche giorno fa. Per tale motivo la popolazione delle isole limitrofe sapeva del pericolo a cui andava incontro soprattutto dopo il 20 dicembre 2020 quando già la prima eruzione (poco pubblicizzata sui media) aveva prodotto nuvole di polveri che sono salite fino a 17 chilometri di altitudine. Nell’ultima esplosione purtroppo il pennacchio di cenere è salito fino a 20 Km. e si è esteso su una distanza di circa 130 km. dal vulcano. Ciò ha dimostrato un’enorme potenza esplosiva con una grande quantità di magma fresco carico di gas riversato in acqua con conseguenze rischiose per l’intero ecosistema. Gli scienziati non hanno ancora sciolto la prognosi se tutto ciò sia stato il culmine dell’eruzione o se si sia trattato solo di un primo botto!!.
L’esplosione è stata udita a molte migliaia di chilometri di distanza, e la sua onda d’urto è stata misurata in tutto il mondo. I satelliti hanno mostrato che la polvere sprigionata si è diffusa in un’area di oltre 250 chilometri di diametro, una volta raggiunta la stratosfera. È stato come se al pianeta fosse spuntato un brufolo grande la metà dell’Inghilterra. Strettamente collegata a questa esplosione sopra la superficie sembra essere stata un’implosione al di sotto, il collasso ha probabilmente avuto un ruolo fondamentale nello tsunami che è seguito all’eruzione.
Perché ho fatto l’esempio di un sasso nello stagno? La fortissima onda d’urto provocata dell’eruzione si è propagata in tutto il mondo arrivando anche in Italia percorrendo ben 17.000 km. ad una velocità di 1.000 Km. orari prima da est e successivamente da ovest a distanza di qualche ora. Tutte le stazioni meteorologiche (compresa ma mia) hanno osservato in corrispondenza del passaggio dell’onda d’urto una variazione repentina della pressione atmosferica di un paio di Hpa (millibar) in pratica come se l’aria avesse fatto una ventina di metri in una frazione di secondo. Alcune stazioni hanno registrato anche un aumento della temperatura.
Fin qui la cronaca di ciò che è accaduto… ora i quesiti di molti scienziati ed esperti del clima sono diversi, gli stessi che mi sono posto anche io e penso anche molti di voi:
Quanto potrebbe influire tutto ciò sul clima? Ci saranno conseguenze planetarie? Potrebbero risentirne le stagioni a livello di eventi meteorologici?
Tra tutti i fattori che possono contribuire a modificare il bilancio termico della Terra, quello costituito dalle eruzioni vulcaniche è sicuramente il più imprevedibile ed anche il più immediato, perché impone i suoi effetti nel giro di pochi anni ed i suoi frutti sono da subito percepibili. Le eruzioni vulcaniche, specie se sono violente e di tipo esplosivo, possono infatti innescare alterazioni del sistema climatico, tali da spostarne l’equilibrio su altri livelli. La conseguenza più immediata è la modifica del meccanismo che riguarda il bilancio della radiazione solare, ovvero tra i raggi riflessi e tra quelli introdotti in atmosfera. Ma solo alcuni tipi di eruzioni vulcaniche possono avere tale effetto sul clima: innanzitutto l’eruzione deve essere sufficientemente intensa da emettere una certa quantità di polveri nella bassa stratosfera, ovvero in quella fascia atmosferica compresa tra i 20 ed il 25 km di altezza e, in secondo luogo, il vulcano deve trovarsi alle basse latitudini.
Se l’eruzione avvenisse alle alte latitudini l’abbondante quantità di polveri non ricadrebbe sulla superficie terrestre, cosa assai diversa se il materiale sparato in aria si limiterebbe alla sola troposfera, ovvero quella fascia atmosferica più vicina alla superficie terrestre dove si verificano tutti i fenomeni meteorologici, che grazie alla loro azione disperderebbero velocemente le polveri in sospensione. Arrivando invece nella bassa stratosfera, caratterizzata da una scarsissima attività di rimescolamento, la nube di cenere avrebbe modo di espandersi orizzontalmente fino a formare un velo opaco in grado di riflettere maggiormente verso lo spazio la radiazione solare incidente.
Se invece avvenisse poi alle basse latitudini, allora l’effetto sul cambiamento climatico avverrebbe sicuramente perché, solo in questo modo, le polveri raggiungerebbero anche le latitudini più alte dell’emisfero in cui il vulcano è in azione: questo si verificherebbe per la particolare natura della circolazione generale dell’atmosfera in grado di sospingere le ceneri vulcaniche verso nord, distribuendole omogeneamente su una larga fascia latitudinale.
Ecco allora spiegato perchè alcune eruzioni importanti avvenute in Islanda o in Alaska non hanno provocato effetti su scala golbale, ma si è tutto limitato al solo clima locale.
Sono andato alla ricerca di vari cataclismi accaduti nel corso dei secoli, in alcune circostanze vi sono diverse analogie che potrebbero per un certo senso verificarsi.
La forte eruzione del 1991
Rientra nelle due condizioni appena descritte l’eruzione del vulcano Pinatubo, nelle Filippine, avvenuta nel giugno 1991. Durante l’eruzione, i 15 milioni di tonnellate di ceneri espulse dal cratere raggiunsero addirittura i 40 km di altezza e lo spesso velo di polveri aumentò del 2% la riflessione dei raggi solari, che ad una prima analisi può sembrare trascurabile, ma è stata sufficiente per un raffreddamento globale di ben 0.3 gradi nei successivi due anni.
Evidenti effetti sul clima:
Nell’emisfero Nord, furono più evidenti nella stagione estiva perché, proprio in questo periodo dell’anno i livelli di radiazione solare raggiungono il loro massimo. In inverno poi ci fu un raffreddamento di 0,6° C nell’emisfero boreale.
Le eruzioni che hanno raffreddato il pianeta:
Alcune eruzioni sono passate alla storia per la loro grandezza e per gli effetti sul nostro pianeta. Nel 1815, l’eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia, fu una delle più grandi degli ultimi 1500 anni. Fu così grande la quantità di materiale che inietto nell’atmosfera, che passò alla storia come l’anno senza estate, dovuto al raffreddamento che provocò.
Le gelate primaverili di quell’anno associate al raffreddamento temporaneo dovuto a quest’eruzione, provocarono gravi perdite nei raccolti. Si conosce infatti anche come l’anno della carestia, dovuta alla perdita della produzione di alimenti. Ci sono altri vulcani che hanno provocato raffreddamenti temporanei. Nel 1784 il vulcano Laki (Indonesia) eruttò per 8 mesi e provocò un raffreddamento medio di 1° C in tutto l’emisfero nord.
L’8 giugno del 1783 si verificò una delle maggiori eruzioni vulcaniche mai registrate nella storia. Ebbe luogo in Islanda, nel sistema vulcanico del Grimsvötn, in seguito all’apertura di una faglia costituita da 130 crateri nel sottosistema chiamato Laki. L’attività vulcanica non cesserà fino al febbraio del 1784, estendendosi su un periodo di otto mesi, e i suoi effetti, secondo le notizie riportate sulle fonti dell’epoca, furono terribili, attestandosi sul valore 6 dell’indice di esplosività vulcanica utilizzato dagli esperti. Un’ampia zona della costa sudorientale dell’Islanda venne invasa e devastata dalla lava – secondo alcune stime, dall’eruzione si sarebbero generati 14 chilometri cubi di basalto. Allo stesso tempo, nel cielo dell’isola si espandeva una densa cappa di gas nocivi – l’attività vulcanica immise nell’atmosfera 120 milioni di tonnellate di anidride solforosa e 8 milioni di tonnellate di fluoro gassoso – e polveri che, in breve tempo, uccisero un quarto della popolazione islandese e quasi la totalità del bestiame e contaminarono le acque. Come se non bastasse, il fuoco dilagava bruciando la vegetazione. Una cronaca scritta a Copenaghen che porta la data di settembre dello stesso anno descrive la sofferenza delle persone e alcuni dei terribili effetti provocati dalla lava. La costernazione e la paura s’impadronirono degli islandesi che, oltre a ignorare la reale portata del disastro, vedevano il proprio Paese coperto «dalle più orrende tenebre», prodotte dai «vapori di zolfo, salnitro, sabbia e cenere» emessi con l’eruzione. Il sole era visibile solo all’alba e al tramonto come «una grande massa di fuoco incuneata fra vapori densissimi». Inoltre, negli anni successivi una terribile carestia avrebbe colpito i superstiti.
Cambiamenti climatici
L’eruzione dei crateri di Laki cambiò la dinamica atmosferica durante l’anno 1783, fino al punto che i contemporanei pensarono che si stessero attuando cambiamenti di origine sconosciuta e temettero conseguenze terribili. Quotidiani e bollettini dell’epoca raccolsero nelle loro pagine le notizie su un’infinità di eventi accaduti fra il 1783 e il 1784 che venivano considerati indizi «di un disordine naturale». Fra questi, i terremoti di Calabria e Sicilia, Volinia (Polonia), Porto e Braga (Portogallo) e Provenza (Francia); le intense burrasche che si abbatterono sul Mare Adriatico, la minaccia di eruzione del Vesuvio e le gravissime inondazioni avvenute nelle regioni francesi dell’Alvernia e del Limosino, così come in buona parte della Germania, in particolare nella regione del Basso Reno, in conseguenza delle intensissime precipitazioni e del disgelo della neve accumulata sulle cime delle montagne.
Conclusioni di Meteoclari: Sperando di non avervi spaventato con questo editoriale, tornando ai giorni nostri le incognite al momento sono due: 1) vi saranno nuove eruzioni? 2) la concentrazione dei fumi è stata tale da poter creare le condizioni tali affinchè ne risenta l’intero clima mondiale? Se tutto dovesse placarsi a breve secondo me ne risentirebbe sicuramente la zona interessata e al massimo l’emisfero meridionale della terra con una possibile variazione al rialzo di temperatura del mare e al ribasso di quella atmosferica. Certamente assisteremo ad estremizzazioni già nei prossimi mesi con un aumento della frequenza degli uragani e della circolazione atmosferica in generale con possibili ripercussioni su El Niño e La Niña due fasi opposte di un fenomeno oscillatorio delle temperature del Pacifico tropicale noto come El Niño southern oscillation (ENSO), di cui rappresentano la fase calda (El Niño) e quella fredda (La Niña) e questo a lungo andare sì che potrebbe anche interessare e condizionare il clima nel nostro emisfero.
Per ora non mi resta che tranquillizzare tutti su alcune voci circa l’anno senza estate…. fortunatamente al momento l’evento è circoscritto e la distanza può farci dormire sonni tranquilli…..almeno fino ad un’eventuale prossima esplosione !!
Se siete arrivati fino a qui…. Grazie per la vostra attenzione! Vincenzo Clarizia By Meteoclari.